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Non che il brand della Vecchia signora fosse priva di fascino, ma per andare alla conquista dei mercati globali serviva qualcosa di nuovo. Quella del rebranding della Juventus è un’altra di quelle storie che dimostrano come una nuova immagine sia fondamentale per stare al passo con i tempi, conquistare nuovi mercati e nuove fasce di pubblico. Il calcio non fa eccezione, e i club più importanti del mondo hanno capito l’importanza di rifarsi il look.

 

Per restare in Italia, il Milan ha iniziato un percorso avendo affidato a DixonBaxi la parte comunicativa dando una nuova identità che colpisca e coinvolga i propri tifosi. Ma il caso però più rilevante è quello della Juventus: dopo la vicenda Calciopoli, che ha travolto la società bianconera nel 2006, c’è stato un crollo a livello di immagine in tutto il mondo poiché la sentenza decretò l’illecito sportivo e la retrocessione in Serie B, la prima nella sua storia. L’anno successivo vince il campionato cadetto tornando subito nella serie maggiore, ma i risultati faticano ad arrivare, sia a livello calcistico che di marketing ed economico.

 

Andrea Agnelli e l’inizio del rebranding

La rivoluzione inizia il 19 maggio 2010 quando Andrea Agnelli diventa presidente della Juventus. La famiglia torinese ha un legame indissolubile con la società bianconera, fin dal 1923, quando Edoardo Agnelli, figlio del fondatore della Fiat, viene eletto alla massima carica. Con l’arrivo del nuovo capo inizia il processo di rebranding che ha aiutato la società ad ottenere successi importanti in tutti i campi. Il primo passo pratico è la costruzione del primo stadio di proprietà in Italia, inaugurato dalla Juventus nel 2011, uno dei segni tangibili del cambio di immagine, che si dota di una struttura moderna e all’avanguardia. A livello di marketing sono due le strategie seguite: “Less is more” e “Step by step”.

 

La prima si basa su una piccola selezione di aziende molto note come sponsor, che grazie all’utilizzo dei nuovi canali di comunicazione come i social media hanno aumentato la visibilità della società bianconera in tutto il mondo, portando al raddoppio degli introiti del club in tre anni.

 

In questo caso si parla di “less” per quanto riguarda il numero di partnership, cercando di legarsi a un numero ridotto di aziende con forte notorietà, creando una sorta di fidelizzazione. Tutto ciò porta al “more”, ovvero introiti superiori rispetto a quelli ottenibili con una cerchia più ampia di realtà minori come sponsor. Contemporaneamente, la Juventus sceglie di rivolgersi a un target di adolescenti amanti del calcio, e il ritorno alla vittoria del campionato italiano diventa fondamentale per avvicinare la nuova generazione di ragazzi, coloro che utilizzano maggiormente i social.

 

Il ritorno alla vittoria è dovuto anche ad una gestione economicamente perfetta da parte della dirigenza bianconera che ha cercato di investire senza mai esagerare – facendo un passo alla volta (lo “step by step”) – e cercando di autofinanziarsi attraverso le cessioni dei giocatori più importanti per portare delle plusvalenze al bilancio bianconero. La più remunerativa è la cessione di Paul Pogba, forte centrocampista francese, arrivato a Torino nel 2012 a parametro zero e rivenduto quattro anni dopo per più di 100 milioni al Manchester United.

L’esportazione del marchio

Il passo successivo è stato quello di internazionalizzare il brand, ovvero di farlo conoscere all’estero, soprattutto nel continente asiatico che è quello con maggior sviluppo economico. Perciò negli ultimi anni ha organizzato delle tournée estive nei paesi orientali per promuovere il marchio e siglare accordi di sponsorizzazione che fruttano introiti importanti per la società.

 

Gli step successivi sono stati fondamentali per cementificare l’ottimo lavoro svolto fino a quel momento da Agnelli a livello di cambio di stile. Nel 2013 la società cambia lo sponsor passando da Nike a Adidas e vengono inserite per la prima volta le tre stelle sulla divisa. Quello che per molti può sembrare un dettaglio è in realtà una importante questione di immagine, rappresentata dalla volontà di mostrare senza remore che lo scudetto revocato dopo lo scandalo di Calciopoli era stato conquistato regolarmente sul campo. Tradizionalmente, infatti, ogni dieci scudetti vinti un club può “cucire” sulla maglia una stella. Nel 2013, quando la Juventus vince quello che ufficialmente è il 29esimo scudetto, la voglia di mettersi comunque sul petto la terza stella è tale che la società torinese rompe in anticipo la collaborazione con Nike, che si era rifiutata di realizzare la maglia in mancanza del conferimento ufficiale del titolo. Da qui il passaggio a Adidas, che produce e comincia a vendere in tutto il mondo le maglie con tre stelle.

 

Una nuova immagine per i mercati globali

Quando si parla di rebranding, il momento di svolta è il cambio del logo della società, che segna definitivamente il nuovo ciclo della Juventus nel 2017. Viene scelta una forma minimalista cambiando il font e passando da otto elementi grafici a solo tre che simboleggiano le strisce della maglia, lo scudetto della vittoria e la J nel nome. È stato deciso di eliminare tutti i riferimenti storici a Torino e alla corona dei Savoia perché l’intento era quello di avvicinarsi ai millenials che sono poco interessati alla storia di una società. Il logo è stato creato da Interbrand, l’agenzia responsabile del restyling della Juventus che si è ispirata ad una frase dell’avvocato Gianni Agnelli: “Mi emoziono ogni volta che vedo sui giornali una parola che inizia per J”. Da qui è partita l’idea di stilizzare solo la lettera iniziale del club bianconero in modo che sia riconoscibile a livello internazionale, riprendendo i marchi di grandi imprese mondiali come la M di McDonald’s e la G di Google.

 

 

Questo video è il biglietto da visita del nuovo mutamento di stile della Juventus con il lancio del nuovo slogan “Black and white and more!”. Già il titolo e la voce in sottofondo in inglese testimoniano il cambio di identità, con un respiro internazionale buono per affacciarsi sempre di più sui mercati globali. Infatti la presentazione stessa conferma la linea presa del rebranding: cercare di non mantenere i legami territoriali con la città ma aprirsi al mondo, accostandosi a coloro che scoprono il calcio italiano – e soprattutto la Juventus – per la prima volta.

 

Ci sono pochi riferimenti al passato, come se l’identità non passasse più da un racconto fatto di emozioni che lega i vecchi sostenitori della squadra ma di commercializzazione del marchio, dove l’intento principale è farsi conoscere al di là dei propri confini. Lo spot è più vicino a realtà di brand di scarpe come la Adidas o la Nike che di una società di football poiché la parte sportiva è praticamente inesistente con qualche immagine di grandi campioni come Zidane, Platini e Del Piero. Questa pubblicità segna, a livello di marketing, il passaggio definitivo dalla Juventus che parla solo di calcio ad un’azienda completa, capace di ritagliarsi il proprio spazio nel mercato internazionale.

 

L’arrivo di Cristiano Ronaldo

L’anno successivo arriva l’investimento più importante a livello calcistico ed economico: l’arrivo di Cristiano Ronaldo. Il fenomeno portoghese è la ciliegina sulla torta del lavoro svolto dal presidente Agnelli e tutta la società juventina dal 2010. Sportivamente parlano i numeri: cinque palloni d’oro, cinque Champions League e molti campionati nazionali. È stato acquistato per puntare alla Champions League ma è stato fondamentale per il marketing per dare un nuovo volto a questa Juventus. Il suo arrivo ha portato l’incremento di 13 milioni di nuovi follower sui social in sei mesi, 40 milioni di visualizzazioni in una settimana e 520mila magliette vendute in 24 ore.

 

Un vero e proprio boom economico che è stato sfruttato per continuare il famoso processo di internazionalizzazione verso l’oriente con il marchio Juventus che ha un nuovo personaggio-immagine, aumentando così la propria notorietà.

 

Il binomio rebranding-vittorie ha portato dei successi importanti con la società che oggi è al quarto posto tra i club calcistici più seguiti sui social ed è il brand italiano con più follower su Instagram avendo appena superato Gucci. Il fatturato in questi dieci anni è passato da 172 milioni a 621 e i ricavi di merchandising e abbonamenti allo stadio sono aumentati. Questi numeri testimoniano il grande impegno svolto dalla società per rinascere dalle proprie ceneri come la fenice dopo la vicenda Calciopoli.

Tirare le somme

A posteriori, tutte le scelte svolte in questo percorso sono state intuite nel modo giusto. Durante il cammino però molti tifosi hanno storto la bocca per qualche scelta. Inizialmente il cambio di logo è stato molto criticato dai fan poiché ha in sé una volontà minimalista, non apprezzata da chi segue la Juventus da decenni. Le tournée asiatiche inoltre sono poco funzionali a livello sportivo, poiché bloccano la preparazione alla stagione mettendo sotto stress i calciatori con viaggi intercontinentali e partite giocate nel momento in cui si dovrebbero allenare. Nonostante non sia stato facile trovare un compromesso tra le esigenze del marketing e quelle sportive, i risultati degli ultimi anni stanno dando ragione ad Agnelli. E l’acquisto di Cristiano Ronaldo è un altro step per continuare a espandere il proprio marchio e vincere in tutti i campi. Perché quella è l’unica cosa che conta.

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